Verità, Fraintendimenti e il Loro Autentico
Ruolo nel Percorso Spirituale
I simboli che si imparano nel Reiki di secondo livello sono realmente così importanti come spesso vengono enfatizzati dagli insegnanti di questa disciplina? E, soprattutto, sono davvero loro ad aver dato origine alla nascita del Reiki, o quantomeno ad aver permesso al fondatore Mikao Usui di riscoprirlo?
Inizio rispondendo a questa seconda domanda: assolutamente no.
La storia secondo cui Usui avrebbe trovato i simboli in un antico testo della tradizione buddhista tibetana, e che attraverso questi simboli sarebbe stato possibile accedere al potere della guarigione, è un falso storico. Si tratta di una narrazione introdotta da Hawayo Takata, la donna che portò il Reiki in Occidente. Una storia affascinante, certo, ma priva di fondamento.
Quindi: Reiki non è stato riscoperto attraverso i simboli, né la sua esistenza dipende dal loro utilizzo. Questa è la narrativa occidentale che per decenni è stata proposta come verità assoluta. Oggi sappiamo con certezza che le cose non stanno così.
Usui non trovò alcun simbolo. Non era un monaco cristiano, non era un monaco buddhista: era un ricercatore spirituale. Raggiunse l’illuminazione e, come tutti i maestri illuminati, codificò un metodo per aiutare l’umanità a raggiungere quello stesso stato di coscienza elevato. Quel metodo è il Reiki.
I simboli non erano presenti nella prima fase del metodo. Usui li inserì successivamente, quando si accorse che molte persone non erano in grado di utilizzare l’energia con la necessaria consapevolezza. Per questo motivo fornì i simboli come strumenti per ottenere risultati specifici.
I simboli quindi non arrivano da nessuna tradizione antica: Usui li ha creati e codificati. Ho già dedicato video e scritto pagine nel mio libro per raccontare in dettaglio i passaggi della loro introduzione, quindi potete approfondire lì se lo desiderate.
A questo punto, la domanda successiva è inevitabile:
“Ma allora i simboli del Reiki sono davvero così importanti?”
La risposta è: sì e no.
Sì, perché i simboli funzionano e permettono di ottenere effetti specifici.
No, perché Usui codificò il metodo senza simboli: ciò significa che l’essere umano ha in sé il potenziale per ottenere gli stessi risultati anche senza usarli.
Perché allora molte persone non ci riescono?
Perché, allora come oggi, tanti praticanti dubitano di sé, del proprio potenziale creativo e divino. Quando siamo insicuri, l’energia non fluisce: il pensiero crea, e l’energia segue il pensiero. Se nella mente ci sono dubbi, paure o confusione, è naturale che non arrivino i risultati desiderati attraverso l’utilizzo dell’energia.
Per questo motivo Usui codificò i simboli e attribuì a ciascuno una specifica caratteristica energetica. Inoltre creò — come avviene in ogni tradizione spirituale — una forma-pensiero, un’eggregora associata a ciascun simbolo. Quando tracciamo un simbolo, per risonanza richiamiamo quel tipo di energia o quel particolare effetto. Non sempre si tratta di un solo tipo di energia: spesso riguarda la possibilità di ottenere un certo risultato o una determinata qualità vibrazionale.
Tuttavia, è fondamentale comprendere che possiamo compiere le stesse cose anche senza simboli. L’esistenza dei simboli non è indispensabile: è una questione di consapevolezza.
Per questo, quando insegno il secondo livello, spiego sempre che i simboli sono utili, sì, ma soprattutto all’inizio. Servono al praticante per fare esperienza, per riconoscere determinate frequenze, per creare una base solida.
Ma una volta che attraverso una tecnica otteniamo un risultato una, due, dieci, cento, mille volte… quella tecnica diventa parte di noi. Passiamo dal fare all’essere.
È in quel momento che possiamo trascendere la tecnica, e quindi anche il simbolo.
Non perché sia sbagliato, ma perché non ne abbiamo più bisogno: diventiamo noi stessi quella vibrazione, quel risultato, quella energia.
Il simbolo è utile, funzionale, un valido strumento… ma non è qualcosa a cui restare aggrappati per tutta la vita. Lo stesso vale per tutti i percorsi spirituali, senza eccezioni.
Pensiamo ai mantra: strumenti potentissimi di evoluzione, che nella pratica del kirtan, nello japa mantra o nella meditazione portano a stati di coscienza elevatissimi. Ma anche il mantra, per quanto sacro e trasformativo, arriva fino a un certo punto. L’ultimo passo verso l’illuminazione — quello che trascende ogni piano fenomenico, visibile e invisibile — deve essere compiuto senza il mantra.
Il mantra va lasciato andare, perché anche esso appartiene al mondo delle forme. E quando si trascende il mondo fenomenico per tornare al Logos originario, ogni tecnica, simbolo o strumento deve essere superato.
Lo stesso vale per i simboli del Reiki.
Come facciamo a sapere quando abbiamo trascenduto un simbolo?
Semplice: quando ci accorgiamo di ottenere lo stesso effetto senza utilizzarlo.
Se l’esperienza accade comunque, significa che dentro di noi si è sviluppato il potenziale necessario.
E quello è il vero scopo del Reiki: condurci dall’uso dello strumento alla realizzazione del nostro Sé.
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